Dai carretti siciliani a Vucciria, tra libertà e amore
Cosa vi viene in mente se dico “Renato Guttuso”?
Sicuramente il famoso dipinto Vucciria, del 1974 (foto in apertura), ma anche quel “socialismo reale” permeato di comunismo del quale l’artista siciliano è considerato uno dei maggiori pittori internazionali.
Eppure il predominio della politica che spesso ritroviamo nelle opere di Guttuso è solo una parte della sua sfaccettata produzione artistica, così fortemente legata a due aspetti fondamentali: la libertà espressiva e l’amore per la propria terra, vero motore della sua attività artistica come della sua intera esistenza.
Infatti, se da un lato l’elemento politico trova conferma in alcuni suoi dati biografici come l’iscrizione al Partito Comunista Italiano nel 1940, quello che contribuisce al formarsi del suo linguaggio artistico è il mescolarsi dell’avversione al totalitarismo politico con una personalissima visione della realtà, filtrata nelle opere dal vissuto dell’artista.
Nato e cresciuto a Bagheria in una famiglia di condizioni modeste, Guttuso entra in contatto fin da subito con un ambiente ricco di stimoli artistici che influenzano profondamente il suo stile, la pittura prima di tutto ma anche la poesia, della quale fa esperienza anche successivamente grazie alla corrente dell'ermetismo. In particolare, la poesia ermetica di Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo, fatta di parole semplici eppure capaci di rendere esperibile il rapporto misterioso tra uomo e cose, diventa un riferimento importante per Guttuso, affascinato dal legame profondo con l'essenza delle cose.
Ancora bambino, Guttuso impara a conoscere e ad amare le sue radici siciliane giocando ai piedi delle statue di Villa Palagonia (nella foto qui sotto), non distante dalla casa del padre, e assorbendo come una spugna la storia di quei luoghi un tempo abitati dall’antico ceto dominante dei proprietari terrieri siciliani, quegli stessi personaggi che popolano i racconti ottocenteschi di Giovanni Verga.
Accanto a questi, il popolo siciliano, continuamente vessato dai latifondisti, paziente nel suo resistere soffrendo e dotato di un fortissimo attaccamento alla propria terra.
Entrambe le facce della medaglia confluiscono nell’opera pittorica di Guttuso, plasmata dal confronto personale dell’artista con l’epoca in cui vive, ma anche dall’ammirazione per artisti come Van Gogh e Picasso, esponenti della cosiddetta Scuola di via Cavour come Mario Mafai e Scipione, e ancora Giacomo Manzù e Renato Birolli, conosciuti durante il servizio militare a Milano nel 1935-1936.
Se da un lato, infatti, lo stile di Guttuso va man mano risentendo dell’influenza degli artisti che tanto ammira, non bisogna però dimenticare la sua umanità tutta siciliana, intrisa di un genuino sentimento di simpatia verso quel popolo che tanto attira la sua attenzione con gli aneddoti della vita privata dei singoli personaggi che lo compongono, trasferiti poi sulla tela filtrati da un sentire che mira ad individuarne la dimensione mitologica.
Come pittore, ma prima ancora come uomo, Guttuso è affascinato dagli elementi del folclore isolano che fanno della sua terra un concentrato di tradizioni da cui attingere a piene mani.
Prima tra tutte, quella dei cosiddetti “carretti siciliani”, che con le loro coloratissime raffigurazioni colpiscono e segnano in modo irreversibile l’immaginario di Guttuso.
In particolare, tra i numerosi pittori di carretti, uno di loro lavora di fronte alla casa paterna dell’artista, in un cortile lungo la strada, ed è proprio grazie a lui che il giovane Guttuso entra in contatto con quelle immagini che decorano i carretti dei contadini rifacendosi ad episodi della Canzone d’Orlando, del ciclo arturiano ed alle gesta dei grandi patrioti del passato.
I colori e il realismo popolare dei carretti siciliani lasciano in Guttuso tracce evidenti nella sua idea costante di un’epica proletaria e contadina, indirizzando il pittore verso un’arte attenta ai gusti figurativi del popolo e al suo profondo senso della realtà, capace di tratteggiare il contesto sociale del suo tempo in un affresco corale fatto di storie ed eventi.
Maturando l’idea di un corrispettivo alto delle scene mitologiche dei carretti siciliani, Guttuso abbraccia i diversi influssi che gli giungono dall’Italia e dall’estero per impiegarli in un’arte rappresentativa della sua personale visione e idea di “sicilianità”.
Passando attraverso un primo periodo tendente ad un coloratissimo ed espressivo fauvismo, e ad una successiva concezione dello spazio più consapevolmente costruito ed organizzato, dalla quale scaturisce anche una serie di nature morte realizzate tra il 1939 e il 1940, negli anni successivi Guttuso dà vita ad opere come la Crocifissione del 1940-1941 (in basso, a sinistra) e Occupazione delle terre incolte in Sicilia del 1949-1950 (a destra), per arrivare alla grande Vucciria del 1974.
Proprio a partire dal 1950, dopo le influenze cubiste e le riflessioni di natura formale degli anni precedenti, nell’opera di Guttuso comincia a delinearsi il ritorno ad un più marcato realismo, che ritroviamo nella tela della Vucciria, visione sintetica eppure sorprendentemente ricca di dettagli resi in modo minuzioso del chiassoso mercato di Palermo.
Quella di Guttuso è un’enorme natura morta in cui gli oggetti ammassati l’uno sull’altro sono indagati dallo sguardo attento dell’artista e restituiti all’osservatore nel loro aspetto formale, e tuttavia riescono ad evocare, in questa loro perfezione della forma, possibili aperture verso una dimensione surreale.
Nonostante la presenza umana, le vere protagoniste dell’opera sono le cose, descritte minuziosamente eppure veicolo per riflessioni che trascendono il mero dato reale.
Come altrove, anche in questa famosa opera Guttuso gioca col colore e utilizza il mezzo pittorico per evocare, attraverso la materia, la dimensione immaginaria dell’artista e quindi dell’osservatore.
Servendosi di una grande libertà espressiva, questo artista così profondamente innamorato della sua terra e delle sue origini ci dimostra l’enorme potere dell’arte, capace di permettere l’esplorazione del mondo reale ed interiore di ciascuno facendosi ponte prezioso tra il quotidiano e la sua visione metaforica e poetica di ognuno.
Sarò di parte, ma scommetto che sareste d’accordo con me se dicessi che con l’arte forse non si mangia, ma è proprio quella stessa arte a nutrire l'anima e a tenerci in vita.
Qual è per voi il potere dell'arte? E se non l’arte, cosa vi tiene in vita?
Mari
Artista militante....