top of page
  • Immagine del redattoreMarina Bergonzi

Buddhismo

Aggiornamento: 14 mar 2021

Il buddhismo tra storia ed iconografia



Avete mai pensato al significato del termine "cultura"? Quali parole usereste se doveste descriverla?

Forse istintivamente verrebbe da pensare a quell'insieme di conoscenze ed esperienze acquisite da ciascuno in relazione ad uno specifico campo del sapere.


Se proviamo a spostarci sul fronte antropologico, però, scopriamo che questo termine va ad individuare tutte quelle tradizioni e modi di vivere appresi dai membri di una società, incluso il modo di pensare, sentire ed agire.


Cosa significa in parole povere tutto questo?

Intesa in senso etnografico, la cultura è conoscenza, credenze, arte, morale, diritto, costume, ma anche – pensate un po' – religione!

Se la cosa vi suona strana, provate a pensare a tutti quei tabù alimentari considerati come doveri sacri e strettamente legati ad antiche proibizioni religiose che, ormai radicate nel patrimonio culturale di un certo gruppo sociale, ne diventano parte integrante.

Sto parlando per esempio del tabù ebraico contro la carne di maiale, o del caso indiano delle vacche sacre, chiari esempi di quanto cultura e religione siano strettamente ed inscindibilmente legate.


Detto ciò, perché non provare a spendere due parole – o forse qualcuna in più – su quella che costituisce una delle religioni più antiche e attualmente diffuse al mondo?

Originato dagli insegnamenti dell'asceta itinerante indiano Siddhārtha Gautama, il buddhismo entra in contatto, nel corso del suo cammino storico, con diverse culture che ne influenzano e plasmano specifici modelli iconografici, riconducibili alle stesse credenze eppure così profondamente diversi tra loro.


Prima di dedicarci alle diverse raffigurazioni del Buddha, cerchiamo però di capire chi fosse.

Vissuto tra il VI e il V secolo a.C., Gautama Buddha, il cosiddetto "Buddha storico", nasce nell'odierno Nepal meridionale all'interno di una ricca famiglia di stirpe guerriera. Il padre è re di uno dei numerosi stati dell'India settentrionale dell'epoca, la madre Māyā, descritta dalle fonti come bellissima, partorisce il piccolo Siddhārtha dal fianco destro all'interno di un bosco, senza dolore, ma muore purtroppo subito dopo. Il principe viene perciò allevato dalla seconda moglie del re, che insieme al padre lo cresce all'interno delle mura della reggia, dove il giovane si sposa ed ha un figlio, ma sempre senza uscire dal palazzo paterno. All'età di 29 anni, il principe incuriosito dal mondo esterno decide finalmente di varcare la soglia della reggia e, abituato agli agi e lussi di corte, rimane profondamente scosso dalla sofferenza che vede e sperimenta in prima persona tramite l'incontro con un vecchio, un malato ed infine un morto. Turbato dalla crudeltà della vita, comprende l'effimeratezza della ricchezza di corte e decide di rinunciarvi per cercare la liberazione da ogni sofferenza umana. È proprio da questo momento che Siddhārtha fugge dal padre e comincia ad intraprendere una vita ascetica dedicata alla meditazione, che lo porterà, all'età di trentacinque anni, a raggiungere l'illuminazione e a diffondere la dottrina buddhista.


Elemento cardine di questa sono le cosiddette "quattro nobili verità", ovvero la verità del dolore (la vita umana è strettamente connessa alla sofferenza), l'origine del dolore (il dolore ha origine dentro di noi), l'allontanamento dal dolore (è possibile l'emancipazione dalla sofferenza) e la via che conduce alla sua cessazione, ovvero il percorso spirituale che avvicina il fedele al nirvana, cioè, appunto, alla completa liberazione dal dolore.


Cosa ne è stato del buddhismo e come è giunto fino ai giorni nostri dopo la morte del suo fondatore Siddhārtha? Essendo, come già detto poco fa, religione e cultura strettamente interconnesse, il buddhismo va incontro a questo punto a molteplici interpretazioni degli insegnamenti trasmessi fino a quel momento solo oralmente da Gautama Buddha ai suoi discepoli, diffondendosi in Asia secondo tre diverse correnti, rispettivamente chiamate "Hinayana" ("piccolo veicolo"), "Mahayana" ("grande veicolo") e "Vajrayana" ("veicolo del diamante"), che attecchiscono nelle varie aree geografiche mescolandosi alle tradizioni, anche iconografiche, delle popolazioni locali e dando vita ad un insieme eterogeneo di raffigurazioni artistiche oltre che pratiche religiose.


Per esempio, se la corrente Mahayana (particolarmente diffusa in Cina) ritiene la salvezza del fedele accessibile a chiunque, a patto di rispettare determinate pratiche come ad esempio la preghiera ai cosiddetti bodhisattva, mediatori tra gli uomini e il divino in quanto esseri compassionevoli votati al soccorso degli altri esseri viventi, quella Hinayana (diffusa soprattutto in Thailandia, Myanmar, Laos e Cambogia) riserva l'illuminazione ad una cerchia più ristretta di persone, ovvero la comunità monastica.

O ancora, la corrente Vajrayana, diffusa soprattutto in Nepal e Tibet, pone particolare attenzione a riti e oggetti legati al culto come tramite per accedere alla sfera del divino.


Se invece pensiamo alle diverse forme attraverso le quali il Buddha viene rappresentato ancora oggi, sicuramente ci verranno in mente le numerosissime e varie pose di mani e gambe, alcune tanto contorte e complicate da chiedersi come faccia il povero Buddha a replicarle e mantenerle.


Prima ancora di accennare qualcuna di queste, pensiamo ai tratti distintivi che caratterizzano volto e corpo del Buddha storico, che pure inizialmente era raffigurato unicamente attraverso simboli (per esempio il fiore di loto, simbolo di purezza, il fico sacro, albero dell'illuminazione, o il leone, ad indicare le sue nobili origini) e solo dopo l'invasione di Alessandro Magno in India nel IV secolo a.C. cominciò, sotto l'influenza dell'arte greca, ad essere antropomorfizzato.

Osservando la testa, salta subito all'occhio una particolare sporgenza posta proprio sulla sommità del capo, la cosiddetta "protuberanza cranica", in origine capigliatura elaborata, successivamente adottata nelle raffigurazioni del Buddha ad indicare un intelletto superiore. Oppure l'urna, ciuffo di peli attorcigliati al centro della fronte, tra i due occhi, simbolo del cosiddetto "terzo occhio", ovvero della capacità di vedere oltre l'universo mondano di sofferenza. E le orecchie? Guardate le foto che ho inserito sotto al titolo di questo articolo: che lobi questo Buddha! Come mai sono tanto allungati? Le risposte sono due: innanzitutto, per ricordare la pratica di indossare pesanti e preziosi gioielli, e sottolineare ancora una volta le origini regali del Buddha storico, ma anche per suggerire la sua capacità di ascolto, come anche gli occhi socchiusi, che indicano quella interiore.


Volendo dilungarci, l'elenco dei tratti del Buddha sarebbe davvero infinito: pensate che solo i maggiori dei suoi segni distintivi sono addirittura trentadue!


Sospendiamo quindi a questo punto la descrizione fisica del nostro Siddhārtha (a voi scoprire gli altri segni!) e dedichiamo qualche ultima parola alla posizione di mani ("mudra") e corpo ("asana"), che rappresentano un vero e proprio linguaggio gestuale.

Se il corpo è generalmente raffigurato in tre posizioni principali, ovvero in piedi (raffigurazione di colui che insegna), seduto (per esempio con le gambe incrociate nella posizione meditativa del loto) o sdraiato nel momento dell'illuminazione e morte, le mani assumono infinite combinazioni di gesti che vedono la posizione di queste a varie altezze (ad esempio in grembo piuttosto che davanti al petto) e con le dita diversamente unite o incrociate. Solo per citarne qualcuna, quella che vedete in foto qui sopra è la cosiddetta posizione del karana, con l'indice ed il mignolo rivolti verso l'alto, e le altre dita verso il palmo, gesto che allontana il male e le influenze degli spiriti malvagi. Oppure il mudra dhyana, con entrambe le mani in grembo, simbolo di meditazione e saggezza.


Riuscite a ricreare anche voi questi gesti? Se fate un salto alla collezione permanente del Mudec o del Museo Popoli e Culture, magari facendovi guidare dalla sottoscritta tra un manufatto d'arte orientale e l'altro, potete osservare questi e altri mudra nelle statue esposte e continuare a far pratica!


A proposito di questi due musei milanesi, in apertura a questo articolo trovate, tra le altre, una foto del Buddha Amida conservato al Mudec (prima foto in alto a sinistra) e di due delle numerose statue del Museo Popoli e Culture (foto in alto al centro).


Sono riuscita ad incuriosirvi?


Se sì, ci vediamo allora in museo!


Mari

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page