Una gita fuoriporta tra i kimono giapponesi
Come qualcuno di voi avrà letto nella mia biografia, oltre che appassionata di arte, sono anche da sempre follemente innamorata di tutto quello che la macrocategoria “antropologia” può contenere, inclusi temi quali l’abbigliamento, i tessuti e la storia del costume delle diverse etnie che popolano il nostro vario e meraviglioso pianeta.
Perché dunque non dedicare questo secondo post proprio a quell’aspetto della cultura cosiddetta “materiale” che essendo parte della persona e al contempo separato da essa, diventa mediatore tra l’uomo e il mondo che lo circonda e nel quale egli è immerso?
Sto parlando proprio dell’abbigliamento, il quale costituisce all’interno di qualsiasi cultura non solo lo strumento utilizzato per coprire o adornare il corpo, ma anche e soprattutto quello tramite cui il corpo e dunque l’individuo stesso acquistano una precisa identità, riconoscendo e sottolineando determinati diritti e doveri della persona che indossando un certo capo d’abbigliamento va a rivestire uno specifico ruolo sociale all’interno della comunità di appartenenza.
Non perdiamo dunque altro tempo in spiegazioni e divagazioni e prepariamoci ad un breve ma interessante viaggio alla scoperta degli abiti tradizionali giapponesi!
Cosa vi viene in mente se dico “Giappone”?
Io personalmente, oltre al fatto che sono anni ormai che cerco di ritagliarmi – fino ad ora purtroppo senza successo – tempo e budget necessari a concedermi un viaggio come si deve nel paese del mio amato Hayao Miyazaki, penso subito all’abito tradizionale giapponese: il kimono, così diverso da quelli che la moda occidentale ha conosciuto nel corso dei secoli e così perfettamente in linea con lo stesso pensiero e filosofia di vita di quel popolo che associamo generalmente – non senza motivo – ad un’idea di semplicità, eleganza e delicatezza.
Formato da sette strisce di tessuto ricavate da un unico rotolo di stoffa della lunghezza di circa 12 m e largo 40 cm, cucite insieme a formare una lunga veste a forma di “T”, il termine “kimono” significa letteralmente “cosa da indossare” e costituisce una vera e propria icona culturale, simbolo del Giappone che pure non lo ha inventato ma adottato, adattandolo alle proprie esigenze, dalla vicina Cina nel corso del VII secolo.
Se bene o male tutti noi conosciamo la foggia di questo abito tradizionale, forse non tutti sanno che a differenza del kimono maschile, quello femminile non ha taglie e deve perciò essere ripiegato più volte sotto la cintura obi in modo da cadere perfettamente lungo il corpo della fanciulla che lo indossa raggiungendo e non superando l’altezza delle caviglie.
La forma che ne risulta una volta indossato rispecchia perfettamente quella mentalità che tanto si discosta dalla nostra occidentale – oggi ancora di più che una volta – secondo cui la sensualità della donna che lo porta non è veicolata dal mettere in mostra le proprie forme ma, al contrario, dal celarle in modo da riservare piuttosto maggior risalto all’armonia dei gesti e dei movimenti.
Il kimono, nella sua semplicità, conferisce alla donna che lo indossa una forma quasi cilindrica, che tanto si discosta dalle fogge che la moda occidentale ha visto succedersi nel corso della storia (pensiamo ad esempio agli abiti dei nostri nobili ottocenteschi, fatti di gonne vaporose e ricchi merletti, pizzi e decorazioni di ogni sorta).
Altre due curiosità: sapevate che il kimono si indossa sovrapponendo il lembo sinistro a quello destro?
Guai a fare il contrario! Viceversa, infatti, con il lembo destro sopra al sinistro, è utilizzato solo per i defunti.
Inoltre, nei kimono femminili, la lunghezza delle maniche dipende dallo stato della ragazza: lunghe se nubile, corte se già sposata. Un po’ alla stregua del pavone: come attirare giovani pretendenti da sposare? Aiutandosi con due lunghissime maniche, ovviamente!
Un altro aspetto interessante legato a questo particolare abito tuttora utilizzato nelle occasioni legate alla tradizione, è secondo me quello della decorazione che arricchisce la stoffa – generalmente seta – di cui il kimono è fatto, la quale si lega in maniera indissolubile al vario ed affascinante universo simbolico giapponese.
Se la scelta dei colori e dei soggetti ricamati sul kimono è determinata soprattutto dall’occasione d’uso, dalla stagione e dall’età della donna, e conta infinite varianti e combinazioni, vale la pena citarne qualcuno tra i più ricorrenti e significativi.
Per esempio fiori come la peonia rossa, considerata la regina di tutti i fiori e dunque simbolo di ricchezza e nobiltà, o ancora i fiori di susino sakura, l’orchidea e il loto, rispettivamente simboli di perseveranza, bellezza e purezza.
Se diamo un occhio invece al mondo animale, sono da ricordare la gru, re degli uccelli e simbolo di lunga vita, la farfalla, che rappresenta l’estate e la bellezza, e infine il drago a tre artigli, creatura mitologica e divinità dell’acqua la cui raffigurazione risente fortemente della cultura cinese, dove lo troviamo raffigurato diversamente con quattro o cinque lunghi artigli.
E voi, avete mai indossato un kimono? Se poteste scegliere, quali colori e motivi decorativi vorreste per il vostro?
Fatemelo sapere nei commenti!
Mari
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